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I messaggi WhatsApp e Telegram come prova in giudizio: un’opportunità per la tutela dei diritti

Dal febbraio 2009, l’utilizzo di app di messaggistica come WhatsApp e, a partire da agosto 2013 anche di Telegram, è diventato parte integrante della vita quotidiana, tanto da rappresentare un’importante fonte di informazioni anche in ambito legale. Queste applicazioni, contrariamente a quanto avveniva prima del 2009, ci hanno consentito inizialmente di inoltrare immagini via Internet, successivamente anche file video e audio. Sempre più spesso le conversazioni intrattenute su queste piattaforme assumono un ruolo centrale in procedimenti civili, penali o lavoristici, poiché in grado di documentare accordi, minacce, riconoscimenti di debito o altri comportamenti rilevanti ai fini della tutela dei diritti individuali.

NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI

Proprio a fronte di tutte queste novità nel campo della tecnologia e dell’innovazione, il nostro legislatore non è rimasto inerte: in tema di efficacia probatoria dei documenti informatici, il messaggio di posta elettronica (c.d. e-mail) e così i messaggi whatsapp, costituiscono documenti elettronici contenenti la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privi di firma, rientrano tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale vengono prodotti non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime (Cass. Sez. 2,Sentenza n. 19622 del 16/07/2024; Sez. 2, Sentenza n. 11584 del 30/04/2024; Sez.2, Ordinanza n. 30186 del 27/10/2021; Sez. 6-2, Ordinanza n. 11606 del 14/05/2018). E ciò pur non avendo l’efficacia della scrittura privata prevista dall’art. 2702 c.c.(Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 22012 del 24/07/2023)

La giurisprudenza italiana ha ormai consolidato la possibilità di produrre in giudizio i messaggi scambiati su WhatsApp e Telegram, infatti “i messaggi “whatsapp” e gli “sms” conservati nella memoria di un telefono cellulare sono utilizzabili quale prova documentale e, dunque, possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica, con la conseguente piena utilizzabilità dei messaggi estrapolati da una “chat” di “whatsapp” mediante copia dei relativi “screenshot”, tenuto conto del riscontro della provenienza e attendibilità degli stessi” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 11197 del 27/04/2023).

 

Ciò a patto che ne sia garantita l’autenticità e l’inalterabilità. In mancanza di tali requisiti, il rischio è che la controparte contesti la prova, rendendola inidonea all’ammissione. Questo perché, come qualsiasi documento informatico, anche uno screenshot di una chat può essere facilmente manipolato. La manipolazione di dati e documenti oggi è resa ancor più semplice grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale (IA), che consente addirittura di riprodurre audio con la stessa frequenza della voce di un determinato soggetto, allorquando gli venisse fornito un input su cui basarsi.

 

CERTIFICARE LA PROVENIENZA, LA RICONDUCIBILITÀ, L’INTEGRITÀ DI UN FILE CHE SI VUOLE PRODURRE IN GIUDIZIO

 

Proprio per ovviare le già indicate problematiche, è fondamentale affidarsi a strumenti che consentano di certificare la conversazione, il file ovvero il documento ai fini dell’utilizzo forense, ossia secondo standard che ne attestino l’integrità, riconducibilità ed l’immodificabilità. La raccolta di prove digitali richiede un processo complesso, dispendioso in termini di tempo e suscettibile a errori umani. Tuttavia, grazie alle soluzioni sviluppate dall’industria Legal Tech, è possibile automatizzare questa attività: tali tecnologie consentono di acquisire prove presenti online in modo forense, certificandone origine, contenuto e data certa, e assicurando che le informazioni raccolte rimangano integre e non alterabili. Una valida prova digitale, quindi, non può essere un semplice screenshot, poiché non potrebbe garantire la non modificabilità. Per essere sicuri di acquisire le prove digitali correttamente, esistono due alternative: affidarsi a professionisti del settore, ovvero i Digital Forensics oppure usufruire in autonomia dei servizi di acquisizione delle prove forniti dall’industria Legal Tech.

In particolare, i servizi di acquisizione delle prove offrono un servizio innovativo e conforme alle esigenze di prova in giudizio: grazie a un sistema di registrazione dello schermo certificata, permettono di catturare l’intera chat, dal contesto della schermata fino ai dettagli del mittente, generando un report completo che include data, ora e contenuti senza possibilità di alterazione.

Il report ottenuto tramite questi servizi è dotato di firma digitale e marca temporale, elementi che ne conferiscono validità legale e lo rendono idoneo ad essere depositato in tribunale come prova documentale. Questo processo offre alle parti un vantaggio strategico enorme, perché consente di cristallizzare la prova prima che l’interlocutore possa cancellare i messaggi o alterare il contenuto della conversazione. In un’epoca in cui gran parte delle relazioni, sia personali sia professionali, si svolge via chat, la possibilità di produrre in giudizio una conversazione WhatsApp o Telegram certificata rappresenta uno strumento prezioso per la tutela dei propri diritti.

 

Paolo Ghiselli

Difensore cassazionista del Foro di Rimini, che si è specializzato nella difesa tecnica di procedimenti per reati societari, anche attraverso l’esperienza maturata nella redazione delle note a sentenza per le riviste specialistiche del Sole 24 Ore.
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