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Brevi note sul ruolo e responsabilità dell’Organismo di Vigilanza nei modelli organizzativi ex D. Lgs. vo 231/2001

 

 

Dopo vent’anni dall’entrata in vigore del D. Lgs. vo 8 giungo 2001, n. 231 molte delle tematiche inerenti all’Organismo di Vigilanza (successivamente denominato con l’acronimo “O.d.V.”), che erano in passato fortemente controverse, attualmente hanno un assetto “normativo” condiviso. Infatti, se da un lato, non esiste ancora oggi una disciplina legislativa inerente ai poteri e doveri propri dell’O.d.V., dall’altro nella prassi, attingendo alla normativa di altri Organi Sociali, gli esperti del settore hanno individuato il giusto contemperamento al fine di dare concreta attuazione all’art. 6, lett. b) del D.lgs. 8 giungo 2001, n. 231.  Tale norma  prevede che, l’impresa per potersi esimere dalla responsabilità c.d. 231 debba provare che “il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo”.

Più controverso, invece, è il tema della responsabilità dei membri dell’Organismo di Vigilanza.

In primis, sul tema è da rilevare l’orientamento che si è consolidato nella giurisprudenza di merito.  I Tribunali penali sono concordi nel definire che non sussista in capo ai membri dell’O.d.V. alcuna ipotesi di responsabilità penale ex art. 40, c. 2 c.p. (“non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”), tale assunto inferisce da alcune inopinabili considerazioni (sul punto, ex multis, Trib. Milano, 15 ottobre 2020, n. 10748,  sentenza cd. M.P.S.):

  • l’Organismo di Vigilanza non ha alcun obbligo giuridico di impedire l’evento;
  • l’Organismo di Vigilanza non ha il potere impeditivo dell’evento.

 

Sul versante della responsabilità civile possono invece sussistere astrattamente obblighi risarcitori ex artt. 1218 e 2043 c.c. per i membri dell’O.d.V.

In primo luogo, è da escludere l’ipotesi che i membri dell’Organismo di Vigilanza possano causare, con la loro condotta colposa o dolosa, un danno ingiusto a terze parti (responsabilità extra-contrattuale ex art. 2043 c.c.). Siffatto rilievo trova origine da un assunto di base:

  • l’Organismo di Vigilanza ha una funzione meramente endo-sociale ovvero non intrattiene rapporti con parti terze alla compagine sociale;
  • l’Organismo di Vigilanza è indirettamente controllato dal Consiglio di Amministrazione e riferisce a quest’ultimo;
  • l’eventuale omesso controllo dell’O.d.V. inciderà solamente verso la Società e gli Shareholders;
  • l’Organismo di Vigilanza è dipendente dell’Ente in forza del vincolo contrattuale intercorrente tra le parti.

 

Ciò posto, stante il richiamato rapporto contrattuale che obbliga reciprocamente la Società ed i componenti dell’O.d.V., si può sicuramente prospettare una ipotesi di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. In tal caso, l’inadempimento contrattuale afferirà dagli obblighi e doveri di cui è investito l’Organismo di Vigilanza per mezzo del contratto stipulato con la Società. Infatti, da tali obbligazioni scaturirà la responsabilità risarcitoria ex art. 1218 c.c. qualora vi sia un inadempimento in relazione alle obbligazioni nascenti dal rapporto contrattuale. Si annoverano tra gli obblighi dell’O.d.V.:

  • la vigilanza sulla corretta applicazione del Modello Organizzativo 231 adottato dall’Ente;
  • l’analisi dei flussi informativi provenienti dai canali di segnalazione ex art. 6 del D.lgs. 8 giungo 2001, n. 231;
  • comunicare le eventuali criticità circa l’applicazione dei “protocolli 231” emerse nell’espletamento delle funzioni di vigilanza;
  • curare l’aggiornamento del Modello Organizzativo 231.

 

Allorchè si verifichi un inadempimento dei suddetti obblighi (contrattuali) dal quale scaturisce un danno, alla parte presumibilmente danneggiata (la Società) graverà l’onere di provare in giudizio: i) il titolo costitutivo del rapporto giuridico; ii) l’esistenza e l’entità del danno parametrata ai sensi dell’art. 1223 c.c. (c.d. danno emergente e lucro cessante che siano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento); iii) ed il nesso di causalità tra inadempimento e danno. I componenti dell’O.d.V. saranno tenuti a risarcire il danno se non provano “che l’inadempimento (…) è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa (…) non imputabile” (V., art. 1218 c.c.). In altri temini, i membri dell’Organismo di Vigilanza, potranno “confutare” la richiesta risarcitoria provando in giudizio: i) di aver ottemperato alle obbligazioni contrattuali; ii) che l’inadempimento non è a loro imputabile.

 

Addentrandosi nella dinamica della quantificazione del danno: fermo restando che siano gli Amministratori (od altri soggetti ad essi subordinati) i soli che possano commettere un illecito civile o penale nell’esercizio delle proprie funzioni, qualora tale condotta illecita si sia realizzata – anche – a seguito del mancato adempimento degli obblighi gravanti sui membri dell’O.d.V., questi ultimi, saranno tenuti a risarcire la Società per l’inerzia avuta nell’espletamento delle funzioni di vigilanza e controllo.

Per ipotesi se dalla condotta illecita degli Amministratori è comminata una sanzione pecuniaria alla Società e ammettendo che vi sia stata una omessa vigilanza da parte dei membri dell’Organismo di Vigilanza è configurabile la suddetta responsabilità da inadempimento. Il quantum del danno risarcibile da parte dei membri dell’O.d.V., sarà parametrato, in linea di massima, sulla sanzione pecuniaria che viene comminata alla Società in conseguenza dell’illecito verificatosi. Vale a dire che i membri dell’O.d.V. potranno essere ritenuti responsabili, e perciò condannati al risarcimento, per quella porzione di danno (sanzione irrogata alla Società) derivante della mancata ottemperanza alle funzioni di vigilanza e controllo pattiziamente convenute tra le parti del regolamento contrattuale.

 

A titolo esemplificativo e per mera ipotesi se la società venisse condannata in giudizio per l’illecito di “false comunicazioni sociali” ex art. 2621-bis (fatto di lieve entità in enti di piccole dimensioni). La sanzione comminabile alla Società sarebbe ricompresa tra le 100 e 200 quote, corrispondenti a min. € 25.800,00 e max. € 309.800,00. Qualora l’illecito si sia verificato e poteva essere prevenuto anche da parte membri dell’O.d.V., allora è verosimile che la Società potrà convenirli in giudizio al fine di ottenere l’esatto quantum della sanzione subita a titolo di risarcimento del danno.

 

Articolo pubblicato con il contributo di Glauco Urbini

 

 

Paolo Ghiselli

Difensore cassazionista del Foro di Rimini, che si è specializzato nella difesa tecnica di procedimenti per reati societari, anche attraverso l’esperienza maturata nella redazione delle note a sentenza per le riviste specialistiche del Sole 24 Ore.
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